50 anni fa il mondo si fermò per l’allunaggio: un grande passo per l’umanità e per lo sviluppo dell’energia solare
L’11 luglio 1969 nelle radio del Regno Unito veniva pubblicata una canzone che che raccontava di un astronauta solitario, disperso nello spazio, Major Tom. Una canzone che scaramanticamente le radio dell’epoca snobbarono e che forse non avremmo mai ascoltato se Buzz Aldrin quel 20 luglio 1969 non avesse pronunciato un “Ok, motore fermo!” a segnare l’inizio dell’allunaggio.
Ad ascoltare questa frase, la prima dell’uomo sulla Luna, e quella - ben più celebre - di Armstrong, furono 650 milioni di persone nel mondo. Da quel 20 luglio, infatti, l’attenzione del pubblico si concentrò come non era mai accaduto prima sullo spazio, con una crescita esponenziale degli investimenti e una corsa ad accaparrarsi le migliori tecnologie.
Tra le tecnologie che più di tutte trassero vantaggio dalle esplorazioni spaziali c’è sicuramente quella fotovoltaica. La maggior parte dei satelliti, infatti, si alimentano tuttora grazie alla conversione dell’energia solare in energia elettrica attraverso celle fotovoltaiche. L’esempio più importante è quello dell’ISS, la Stazione Spaziale Internazionale, che con i suoi quattro segmenti di pannelli solari (l’ultimo dei quali montato a marzo 2009, oltre dieci anni fa) riesce a raggiungere una potenza elettrica di 120 kW.
Per arrivare a questo risultato, di potenza ma soprattutto di durata nel tempo - i primi pannelli sono coevi al lancio della stazione, nel 1998 - è stato necessario uno sforzo tecnologico enorme. I pannelli spaziali infatti sono sottoposti a radiazioni solari molto forti e all’aggressione dell’ossigeno atomico che possono danneggiare in breve tempo i materiali. Risolvere questi problemi ha richiesto lo sviluppo di speciali vernici protettive. Una tecnologia che insieme a quella relativa all’intelaiatura, si è riflessa sull’applicazione terrestre.
Il fotovoltaico terrestre passa dallo spazio
Il futuro del fotovoltaico in orbita sembra però andare ancora oltre. Cina e Giappone da anni stanno lavorando alla costruzione di una centrale fotovoltaica orbitante capace di trasmettere poi l’energia alla terra. E no, non stiamo parlando del sogno di qualche scienziato folle: basti pensare che solo per quanto riguarda il Giappone il progetto vede impegnato l’Agenzia spaziale nazionale e il colosso Mitsubishi, con piani ultradecennali. Il problema in questo caso non è però nello sviluppo dei pannelli quanto nel sistema di trasmissione wireless dell’energia tramite microonde. I primi esperimenti sono stati fatti, ma la strada è ancora lunga e lastricata da investimenti astronomici. La data di lancio è fissata al 2031, però tutto può ancora cambiare.
Ben più realistica invece è la costruzione del generatore fotovoltaico che sarà impiegato durante la missione JUICE. Questa prevede, nel 2022, il lancio di una sonda che dovrà raggiungere Giove nel 2029. La sonda sarà alimentata dal maggior generatore fotovoltaico spaziale mai costruito per questo genere di dispositivi: 10 pannelli per una superficie complessiva di 97 metri quadrati. I pannelli saranno in Arseniuro di Gallio (GaAs), materiale capace di trasformare le radiazioni solari in elettricità anche quando, data la distanza dal Sole, saranno 30 volte più deboli rispetto a quelle terrestri e la temperatura crollerà a -230 °C. Ancora una volta lo spazio diventa un banco di prova di tecnologie, come i microfilm di GaAs, che nel prossimo futuro potranno avere una ricaduta sulla nostra vita quotidiana.
PS: a proposito di Major Tom, la canzone che ne parla ha un titolo che probabilmente avrete già sentito, Space Oddity. E quello sconosciuto ragazzo biondo, innamorato dei film di Kubrick, che l’aveva composta nel gennaio del ‘69, si chiamava David Robert Jones. O, meglio, David Bowie.