A breve l’energia utilizzata per estrarli potrebbe farli diventare sconvenienti economicamente e molto pesanti per il pianeta. La blockchain, al contrario, ci aiuterà
Bitcoin addio? Forse.
La criptovaluta è sempre più in discussione soprattutto dopo le stime energetiche dell’economista esperto di blockchain, Alex De Vries. I suoi calcoli, pubblicati su Joule, stimano che ad oggi la criptovaluta consuma 2,55 gigawatt di elettricità, che potrebbero salire a 7,67 gigawatt entro la fine dell’anno.
Un quantitativo sorprendente che equivale allo 0,5% dell’intera energia elettrica prodotta nel mondo. Una stima, tra l’altro, media che in alcuni momenti di maggior attività potrebbe richiedere il 5% dell’energia elettrica prodotta globalmente. Al di là dei numeri, quello che si profila è un grosso problema di sostenibilità ambientale.
Il valore di un bitcoin equivale circa a 8.000 dollari. Estrarne uno in Italia ne costerebbe 10.000Perché i bitcoin consumano così tanto?
Parliamo infatti di una moneta che non esiste fisicamente, immateriale. Possiamo immaginarcela come una lunghissima, quasi infinita, striscia di numeri. Per estrarre questa striscia è necessaria una potenza di calcolo immensa che, ad oggi, è superiore a quella sviluppata dai maggiori 500 supercomputer del mondo. L’energia elettrica serve, appunto, per sostenere questa potenza di calcolo da un lato; dall’altro viene utilizzata per far funzionare i circuiti di raffreddamento necessari a non far surriscaldare i dispositivi impegnati nell’estrazione dei bitcoin.
Il paradosso economico dei bitcoin
L’energia però ha un costo che in alcuni casi supera il valore stesso del bitcoin.
Qui c’è il grande paradosso economico. È stato calcolato che mediamente estrarre un bitcoin in Italia costerebbe oltre 10mila dollari, quindi più dello stesso bitcoin che si attesta intorno agli 8mila.
In Germania la perdita economica nell’estrazione di un bitcoin sarebbe ancora maggiore, in Francia si arriverebbe forse al pareggio.
Sarebbe invece estremamente conveniente in Venezuela dove costerebbe all’incirca 500 dollari. Il pericolo che si profila all’orizzonte, a fronte di una crescente richiesta di bitcoin, è quello di una nuova frontiera dell’hackeraggio: rubare energia e potenza di calcolo ai computer in rete per estrarre bitcoin.
Al momento per risolvere il paradosso del bitcoin (e in generale delle criptovalute) non esistono soluzioni di facile applicabilità, a parte due: da un lato operare sul protocollo della blockchain per rendere più semplici le transazioni e, dall’altro, lavorare su una criptovaluta green.
Il primo esempio di questo tipo è partito dalla Moldavia: presso l’Accademia delle Scienze è stato installato un impianto da oltre tremila pannelli fotovoltaici destinato esclusivamente a sostenere l’attività dei miners, quindi di chi controlla i nodi della blockchain destinati alla creazione delle criptovalute.
Il valore del bitcoin e la sua sopravvivenza, nel prossimo futuro, potrebbero essere legati anche alla sostenibilità ambientale.
L'altro lato della medaglia: la tecnologia blockchain
In attesa del bitcoin green, bisogna però riconoscere che questa valuta ha già avuto qualche merito - anche se involontario - dal punto di vista ambientale.
La tecnologia alla base della criptovaluta, la blockchain, può essere infatti utilizzata per certificare le transazioni energetiche e, come stiamo già testando sul campo, attraverso la nostra start up e-Prosume.
Una blockchain che in questo caso - oltre a essere molto meno complessa rispetto all’estrazione di un bitcoin e quindi molto meno energivora - azzera il suo peso energetico in quanto direttamente collegata a impianti di autoproduzione e permette lo sviluppo di una rete di prosumer, quindi produttori e consumatori evoluti.
Questo è il paradosso, positivo, della blockchain: sviluppata per estrarre criptovalute energivore, in unione con il fotovoltaico e la domotica aiuta la sostenibilità ambientale.