Roma, Los Angeles e Costantinopoili: il cambiamento climatico influisce sulla storia più di quanto pensiamo
Il 24 agosto 410 l’esercito dei Goti guidato da Alarico entrava, dopo un lungo assedio, in Roma. Per tre giorni depredarono case e palazzi, uccisero, rubarono. Il Sacco di Roma del 410 il primo dopo oltre otto secoli, impressionò storici, filosofi e scienziati e accelerò il declino dell’Impero.
Il 5 agosto 2019 il Copernicus Climate Change Service (C3S) annuncia che il luglio appena trascorso è stato il mese più caldo mai registrato a livello mondiale, dopo un giugno altrettanto bollente. Più dei numeri e delle statistiche contano però le immagini che arrivano dalla Groenlandia con lo scioglimento dei ghiacciai o quelle degli incendi in Siberia (ma anche in Amazzonia e in Africa (mai come intensi come quest'anno) che secondo molti sarebbero favoriti proprio dall’innalzamento delle temperature. Eventi catastrofici che a loro volta porteranno ripercussioni sul clima a livello mondiale.
L’agosto del sacco di Roma e quello degli incendi dal circolo polare all'Equatore hanno purtroppo qualcosa in comune: il clima - anzi - il climate change. A sostenerlo con forza il libro dello storico Kyle Harper che incrocia una enorme mole di dati sul clima con gli eventi più importanti riportati negli annali romani e giunge a una conclusione netta: direttamente e indirettamente il cambiamento climatico ha influito prima sulla prosperità e poi sulla fine dell’Impero.
Impero Romano: il clima protagonista delle sue sorti
Secondo Harper l’ascesa di Roma ha coinciso con un periodo di optimum climatico, caldo e umido che ha permesso raccolti abbondanti e prosperità. A questo ha fatto seguito, a partire dalla metà del II secolo dC, una fase di profonda instabilità durata oltre due secoli.
Un periodo dove si è assistito a picchi climatici in entrambi i sensi, con periodi di siccità alternati a inondazioni e freddo intenso, che hanno influito non solo sulla produzione agricola ma anche sulla situazione sanitaria a livello globale.
Nel secondo e terzo secolo, in corrispondenza di una brusca salita delle temperature si diffuse il vaiolo - chiamato peste antonina - seguito da una serie di febbri emorragiche che decimarono la popolazione. Quindi nel terzo secolo nuova ondata di caldo e l’arrivo probabilmente del virus Ebola passato alla storia come peste di Cipriano.
Nel quinto secolo il clima si stabilizza, in peggio, con una piccola glaciazione - dovuta a una diminuzione dell’attività solare e a un aumento di quella vulcanica - che cancellò quasi totalmente le estati per quattro secoli. Freddo e inondazioni spinsero le popolazioni del nord e dell’est del continente a spostarsi verso sud, alla ricerca di condizioni migliori di vita. Alle invasioni barbariche si sovrapposero e sostituirono più imponenti movimenti migratori che cambiarono il volto dell’Europa.
A spostarsi, a causa del climate change, non furono però solo gli uomini: una delle tesi più avvincenti dell’arrivo della peste mette in correlazione clima e topi. Il ratto nero infatti per via del calo di temperature si spostò in massa nelle città dove aveva maggiori possibilità di trovare cibo. L’aumento della popolazione di ratti in una metropoli come Costantinopoli fu sorprendente e causò nel 541 l’inizio di un’epidemia di peste che avrebbe ucciso la metà della popolazione continentale.
La tesi di Harper non è l’unica in questo senso: già nel 2011 infatti uno studio pubblicato su Science mise in correlazione clima e stravolgimenti politici. Questo fu realizzato analizzando Clima e stravolgimenti politici: uno studio ne evidenzia la correlazione oltre novemila manufatti in legno prodotti in un arco temporale di due millenni. Nei periodi climaticamente più difficili gli anelli del legno, infatti, tendono ad essere più ravvicinati mentre in una situazione favorevole si allargano e distendono. Il risultato è stato lo stesso a cui è giunto Harper: nel terzo secolo ad esempio, in occasione di un periodo siccitoso, Roma attraversò un periodo di crisi. Due secoli dopo con la piccola glaciazione si assistette alla distruzione della Città Eterna. Un andamento simile, si legge anche in Cina, riguardo le vicende della dinastia degli Han.
A maggio 2019, il Los Angeles Times ha denunciato un aumento esponenziale di ratti - connesso all’innalzamento delle temperature - nella “città degli angeli” paventando così una situazione simile a quella che aveva portato la peste bubbonica in Europa. In Siberia intanto sono bruciati quattro milioni di ettari innalzando nell’atmosfera oltre 100 milioni di tonnellate di CO2 che accelereranno ulteriormente il riscaldamento dell’Artico. Due fatti distanti e diversi, solo apparentemente, come insegna la storia del sacco di Roma e del freddo di Bisanzio.
Più che altro due indizi di un cambiamento epocale, che ha dispiegato la sua forza anche attraverso le immagini delle foreste in fiamme, dall'Amazzonia all'Africa all'Artico. È il quadro più drammatico di una situazione di mutamento climatico mai così rapido come quello che stiamo vivendo: a dirlo tre ricerche condotte dall'Oeschger Center For Climate Research dell'Università di Berna. Secondo gli studiosi svizzeri l'attuale innalzamento delle temperature è il più rapido ed esteso mai osservato ed è senza dubbio correlato alle attività umane e in particolare alle emissioni di CO2. Come nel 410 i Barbari, almeno metaforicamente, sono alle porte ma questa volta li abbiamo chiamati noi. E la posta in gioco è ben più alta di un saccheggio o di un trono.