Salta la Cop26 mentre in Europa si registra l’inverno più caldo di sempre

La conferenza sul clima nel 2020 non si farà. Lo hanno annunciato con un comunicato ufficiale le Nazioni Unite a inizio aprile. Nonostante la Cop26 fosse programmata per novembre 2020 le difficoltà di movimento tra i vari Paesi del mondo, causate dal COVID-19, hanno spinto gli organizzatori a spostare la data di qualche mese. 

Le domande in attesa di risposta

Una decisione che però, oltre agli evidenti problemi di logistica, guarda anche alla possibilità di avere un quadro più chiaro della situazione in corso. Quale sarà lo stato dell’economia mondiale dopo la fine dell’epidemia? E nella “ricostruzione” quale ruolo avrà la transizione energetica?

A queste domande di carattere economico e finanziario si sommano, poi, anche questioni più propriamente politiche. A novembre si terranno le elezioni presidenziali americane. Una riconferma di Donald Trump alla Casa Bianca accelererebbe l’uscita degli Usa dagli accordi di Parigi, con il beneplacito del suo elettorato e di diversi Paesi simpatizzanti delle sue posizioni sul clima. Un cambio di scena, al contrario, avvantaggerebbe chi vorrebbe invece accelerare sullo stop alle emissioni, vista la posizione di Joe Biden, il candidato democratico, che ha già annunciato un ampio piano green. 

Una situazione tuttora in forte evoluzione che però non deve essere vista solo negativamente. Avere più tempo - è questa ad esempio la tesi espressa dall’economista Nicholas Stern - potrebbe essere l’occasione per preparare piani ancor più ambiziosi, come in parte ha già fatto intendere il vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans per cui l’Europa non arretrerà di un passo sul green new deal lanciato dalla Commissione. 

Il Coronavirus poi, in questo bailamme di informazioni e opinioni che si incrociano, potrebbe addirittura dare una mano. Una nuova autorevole ricerca - la fonte questa volta è Harvard - firmata dall’italiana Francesca Dominici e da James Gamble ha messo in relazione, nuovamente, il numero di decessi conseguenti al Coronavirus e l’inquinamento atmosferico, confermando alcuni studi già apparsi nei giorni scorsi. Un’analisi statistica di cui i legislatori - a partire da quello americano, Paese su cui è stato elaborato il modello di riferimento - non potranno ignorare. 

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Addio all'inverno

Intanto, contemporaneamente alla notizia del rinvio, arrivavano i dati ufficiali sull’inverno appena trascorso. Con una sentenza che non lascia spazio a dubbi: ad oggi il più caldo mai registrato in Europa. Secondo il  Copernicus Climate Change Service, il programma varato dall’Agenzia Spaziale Europea proprio per monitorare le temperature, il trimestre 21 dicembre 2019 - 20 marzo 2020 ha fatto registrare temperature di oltre 3 gradi al giorno sopra della media dell’ultimo trentennio e 1,4 gradi in più rispetto al precedente record (inverno 2015/2016). Un dato che si somma a quelli già provenienti dallo scorso autunno, con il secondo ottobre più caldo mai registrato dall’Ottocento ad oggi, e soprattutto con le immagini e i dati sorprendenti dell’Antartide che ha visto toccare il record di 20 gradi a febbraio.

Se il 2019 è stato il secondo anno più caldo dal 1850, il periodo dal 2015 allo scorso anno e l’ultimo decennio sono stati l’arco di tempo più caldi di sempre Organizzazione meteorologica mondiale

Il crollo delle emissioni, conseguente al Covid-19, probabilmente sarà sufficiente a mettere solo una pezza temporanea. Pur non essendoci, infatti, dati a sufficienza per fare un’analisi corretta, esiste un parallelo importante su cui basarsi: nel 2008, a causa della grave crisi economica, ci fu un consistente calo delle emissioni ma l’effetto durò molto poco. Senza una strategia di lungo corso, insomma, gli effetti positivi sono destinati a svanire in breve tempo. E di quest’ultima risorsa, il tempo, ne abbiamo molto poco: l’ultimo inverno ce ne ha dato dimostrazione.  Ora l’Europa e il mondo attendono da Glasgow 2021 una nuova Primavera.