Il documento conclusivo, a pochi giorni dall’allarme sulla CO2 (mai così alta), ribadisce però l’importanza della lotta al riscaldamento globale

Si è chiuso il G20 di Buenos Aires con una (quasi) sconfitta per la sostenibilità a livello globale. Il documento finale, da un lato sottolinea la preoccupazione per i cambiamenti climatici in atto e dichiara irreversibile l’accordo di Parigi. Dall’altro lato, però, prende atto della posizione americana sul clima. E non è una cosa buona.

Il presidente statunitense Trump infatti ha ribadito la volontà di ritirarsi dagli accordi di Parigi per poter alimentare la crescita industriale utilizzando ogni forma di energia disponibile, ma proteggendo nello stesso tempo l’ambiente.

La posizione americana pesa come un macigno sulla Cop24 che si è aperta il 2 dicembre a Katowice in Polonia e che vedrà riuniti fino al 14 dicembre i delegati della Conferenza Onu sul clima. L’obiettivo è individuare le azioni più efficaci per eliminare i combustibili fossili dalla produzione di energia. Katowice sarà una tappa fondamentale per il futuro dell’energia (e del pianeta).

I delegati internazionali infatti devono mettere a punto la road map di azioni per rendere operativi gli accordi di Parigi, fissare l’impegno dei singoli governi e quantificare l’aiuto per i Paesi più poveri così da permettergli di ridurre le emissione come richiesto. Si tratta di stabilire un pacchetto di misure che dovranno essere recepite dai singoli Stati e diventare del tutto operative entro il 2020.

Emergenza clima: i costi per l'Europa

Intanto, pochi giorni fa, è giunto un nuovo allarme sul clima dal World Metereological Organization: il 2018 sarà il quarto anno più caldo dall’inizio delle rilevazioni. Non solo: i venti anni più caldi in assoluto sono stati registrati tutti dopo il 1996. Inoltre, sempre secondo l’agenzia Onu specializzata nelle rilevazioni in ambito meteorologico, la concentrazione di gas serra nel 2017 ha raggiunto i livelli più alti negli ultimi tre milioni di anni. Questo significa che nell’atmosfera ci sono tanto metano, protossido di azoto e anidride carbonica come quando la Terra era più calda di 2 o 3 gradi.

L’aumento di concentrazione di gas serra, secondo una tendenza che prosegue da oltre un decennio, segnala che la strategia per contenere le emissioni deve essere molto più ampia e incisiva. Un’azione necessaria che però avrà costi ingenti per i Paesi. L’UE ha provato a fare i calcoli: fermare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi nel 2100, riducendo le emissioni in modo sostanziale, costerebbe all'Europa dai 175 ai 290 miliardi l’anno. Accontentarsi di 2 gradi invece farebbe fermare l’asticella dei costi tra i 75 e 175 miliardi.

Uno sforzo enorme che si tradurrebbe in una ricaduta tra i 150 e i 600 euro annui per La soluzione? Concentrarsi sull'energia fotovoltaica per risparmiare 266 milioni annuicittadino. Il conto salato però cambia completamente considerando i risparmi altrettanto ingenti che deriverebbero dall’eliminazione dei combustibili fossili: sostituire il petrolio con l’energia fotovoltaica farebbe risparmiare 266 miliardi annui di importazioni riportando in attivo il bilancio energetico nei prossimi decenni. Un investimento che però oggi non tutti vogliono affrontare.

I delegati Onu riuniti a Katowice in questi giorni devono tentare di disinnescare la bomba ambientale e sociale pronta a esplodere. L’Europa vuol fare la sua parte e come hanno dimostrato i recenti provvedimenti sull’autoconsumo la soluzione potrebbe partire dal basso.

La generazione distribuita sarà un tassello fondamentale nella costruzione di una nuova politica energetica per ridurre le emissioni senza diventare un fardello sui conti pubblici ma anzi trasformandosi in un volano per l’economia.