Il 2019 sarà ricordato come l’anno dei grandi incendi. Un'emergenza a cui dovremo abituarci

Iniziamo da un dato: 34.750 chilometri quadrati di terra bruciata. Un’area più grande del Belgio. E no, non stiamo parlando dell’Australia, dove i numeri sono ancora più grandi, ma della sola California.

Qui gli incendi dal 2017 ad oggi sono stati i più devastanti del secolo, con una frequenza e una estensione tale da far pensare agli esperti che sia arrivato il momento di ripensare l’intero rapporto con il fuoco. Al punto che alcuni hanno iniziato a proporre zone cuscinetto con aree preventivamente bruciate per fermare il propagarsi delle fiamme. Combattere il fuoco con il fuoco come rimedio estremo di fronte a una situazione che sembra ormai impossibile tenere sotto controllo.
Incendi australia
Mentre negli Usa si discute queste ipotesi, l’Australia si trova a fare i conti con il fronte di incendi più intenso e distruttivo degli ultimi decenni. Milioni di ettari bruciati, migliaia di case distrutte e decine di vittime. Il WWF ha stimato la cifra di un miliardo di animali uccisi, in quella che i più grandi quotidiani del mondo hanno definito la Chernobyl dell’Oceania. Una definizione che però racchiude un errore di valutazione. Quello che è accaduto e sta accadendo in Australia non è un incidente, ma un processo di lungo corso che rischia di aggravarsi ulteriormente nei prossimi mesi e ancor più nei prossimi anni.

I primi importanti incendi, infatti, si sono sviluppati già a settembre, con una serie di focolai nel Queensland una zona di foreste pluviali che solitamente grazie al clima umido e fresco è riparata dal fuoco. Una situazione che si è aggravata negli ultimi due mesi coinvolgendo quattro stati su sei. A novembre il cielo di Sydney si è oscurato per il fumo, mentre lo stato centrale emetteva un bollettino che definiva la situazione come catastrofica. A dicembre hanno fatto il giro del mondo le immagini dei koala ustionati e delle persone che cercavano rifugio in spiaggia. Tutti le abbiamo viste, sulle tv e sui social: sono la fotografia di una vera e propria emergenza mondiale, come l’ha definita poche settimane fa Ursula von Der Leyen, presidente della Commissione Europea.

La causa: caldo record ed eventi meteorologici estremi  

La causa di un fronte di fuoco così esteso come quello australiano è da imputare a un mix letale tra condizioni climatiche in mutamento ed eventi meteorologici estremi. Da un lato il caldo: alla primavera più calda mai registrata infatti ha fatto seguito l’estate più rovente di sempre, con il record di 42 gradi di massima (e 35 di minima) tra le più alte mai registrate, con punte di 49 gradi. Dall’altro, gli eventi improvvisi e devastanti: la temperatura più alta dell’Oceano Indiano ha comportato un clima più caldo e secco in tutta l’area. I venti dell’interno si sono scontrati con altre masse d’aria calda provenienti dal mare, scatenando fenomeni meteorologici rari con una frequenza e un’intensità maggiore rispetto al solito ovvero tempeste, fulmini ma anche veri e propri “tornado di fuoco” come quelli che hanno devastato l’isola dei Canguri.
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In Australia come in altre zone del mondo sta purtroppo accadendo quello che molti scienziati avevano già previsto come primo effetto del surriscaldamento globale: un aumento degli eventi estremi, dalle tempeste (come quelle registrate in Africa e in Giappone) alla siccità (California, Australia ma in parte anche Siberia) fino a fenomeni locali devastanti come ad esempio l’innalzamento anomalo delle mareggiate (l’acqua alta a Venezia). Fatti a cui purtroppo sarà necessario abituarsi a meno di un immediato e profondo cambiamento di rotta. L’Australia stessa, nonostante i tentativi del governo di imputare l’origine degli incendi al fattore umano, sì presente, ma minoritario, ne sta prendendo atto. E l’opinione pubblica ha chiesto a gran voce alle autorità di intensificare gli sforzi per ridurre le emissioni.

Il prossimo - cruciale - appuntamento, per tutti, è a Glasgow nel novembre 2020 quando i più grandi Paesi saranno chiamati durante la Cop 26 a moltiplicare gli impegni per limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi. Intanto il 2019 ci ha già consegnato un’importante lezione: non bisogna scherzare con il fuoco.