Ecco perché rischiamo di doverci abituare a San Marco invaso dalle acque

“Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare” cantava Guccini nel1982. E Venezia colpita dall’acqua alta, diventata mareggiata per via dei forti venti di scirocco, è l’immagine che campeggia sui principali giornali del mondo.

Sui media italiani si discute molto del Mose, sulla sua utilità e sui ritardi di fine lavori. Non ha avuto purtroppo la stessa eco l’allarme sulla possibilità che questo fenomeno si ripresenti a breve e che quelli che oggi sono considerati eventi straordinari possano diventare ordinari nei prossimi decenni. Il motivo di questo peggioramento dell’acqua alta e dell’innalzamento delle maree per molti studiosi - ma ormai anche per buona parte dell’opinione pubblica - ha un nome ben preciso: cambiamento climatico

Data l’immediatezza del fenomeno e la necessità che questi studi si protraggano a lungo nel tempo, è difficile avere parametri certi di riferimento. E in molti non perderanno l’occasione di ribadire (alcuni lo hanno già fatto) che comunque il picco massimo registrato dall’acqua alta (194 centimetri contro i 187 dell’ultimo evento) risale al 1966 anno in cui il climate change era ancora lontano dall’essere individuato come emergenza mondiale. Le cose però stanno diversamente, lo confermano storia e proiezioni.
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Anzitutto i dati storici: secondo le informazioni raccolte dalla Procuratoria di San Marco quella di martedì 12 novembre è stata la quinta volta, negli ultimi 1200 anni di storia, che l’acqua della laguna è entrata nel corpo principale della Basilica di San Marco. La seconda però dall’inizio del Millennio: prima di questo evento infatti un’acqua alta da record era già stata registrata a ottobre 2018. Non solo: gli eventi di marea oltre i 110 centimetri - considerati quindi particolarmente rilevanti - sono stati oltre sessanta nell’ultimo decennio. Una concentrazione impensabile rispetto al resto delle rilevazione.

Dati che fanno riflettere e spaventano soprattutto se confrontati con le previsioni sull’innalzamento dei mari da qui a fine secolo. Un recente rapporto Enea dedicato al Mediterraneo traccia una proiezione a dir poco allarmante. L’innalzamento dei mari medio nel 2100 sarebbe di circa un metro, distribuito diversamente a seconda delle località: Venezia (1,064 metri), Napoli (1,040 metri), Cagliari (1,033 metri), Genova (0,922) e così via.

I più grandi porti italiani rischierebbero di finire sommersi perché all’aumento del livello delle acque si sommerebbe l’effetto storm surge ovvero l’azione di vento, bassa pressione e onde che porterebbe a maree alte fino a due metri. Un effetto quest’ultimo, simile a quanto si è verificato a Venezia, e che sta crescendo di intensità proprio per via dei cambiamenti climatici.

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ClimateCentral ha pubblicato una speciale cartina con le zone a rischio allagamento a causa dell’innalzamento dei mari se a fine secolo la temperatura aumentasse di 2 o di 4 gradi. La fascia più colpita sarebbe quella Adriatica e del Delta del Po con l’acqua che, nello scenario peggiore, potrebbe penetrare decine di chilometri all’interno della Pianura Padana. Fino a Medicina, ad esempio, circa 30 chilometri da Bologna o più a nord quasi a lambire le provincie di Mantova e Verona. Un quadro spaventoso ma realistico e proiettato in un orizzonte temporale di ottant’anni. Insomma, la prossima generazione vivrà sulla propria pelle il climate change.

Bisogna essere tutti uniti per affrontare questi che sono evidentemente gli effetti dei cambiamenti climatici” ha scritto il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. La triste cartolina di San Marco invasa dall’acqua potrebbe diventare la prima immagine tangibile dell’innalzamento dei mari e degli sconvolgimenti dovuti all’aumento delle temperature. O almeno una di quelle che più ci toccano da vicino. Con la violenza e la potenza che solo certe immagini possono avere.