Inquinamento ambientale, distruzione degli ecosistemi e cambiamenti climatici potrebbero favorire i virus
C’è un filo sottile, anzi sottilissimo, che lega distruzione degli ecosistemi, climate change, inquinamento ambientale e Covid-19 o, comunque, coronavirus in generale. Se ne stanno occupando in molti, dall’inizio dell’epidemia, sotto diversi punti di vista. Proviamo a mettere in ordine le idee su quanto emerso fino ad oggi, con un’avvertenza: gli studi sul tema, in certi casi, sono molto limitati, quindi, se cercate certezze granitiche, questo non è l'articolo che fa per voi. Se invece volete provare a capire con noi quanto, ad oggi, si sa sul tema, allora leggiamo insieme le suggestioni più interessanti
La distruzione degli ecosistemi
Partiamo dall’inizio e dai primi articoli che hanno iniziato a tracciare la correlazione tra inquinamento ambientale e passaggio del virus all’uomo. Il New York Times in un pezzo del 27 febbraio firmato da Peter Daszak riprendeva un rapporto dell’OMS che già nel 2018 preconizzava una malattia X capace di diventare una pandemia. La caratteristica principale di questa malattia X sarebbe stata quella di essere uno spillover quindi frutto di un passaggio di specie da un animale selvatico all’uomo. La deduzione nasceva da una considerazione semplicissima: gli spillover stanno aumentando perché la distruzione degli ecosistemi degli animali selvatici li avvicina sempre di più all’uomo.
Deforestazione della Foresta AmazzonicaPochi giorni dopo - siamo al 4 marzo - le stesse considerazioni vengono riprese e ampliate su La Stampa da Mario Tozzi che spiega come le recenti epidemia di Ebola, Sars e Zika, H1N1 e Mers siano in parte riconducibili all’intervento dell’uomo sull’ambiente. Concentrazione degli uomini in aree ristrette (come l’Hubei o la Pianura Padana), distruzione della biodiversità e allevamenti intensivi e commercio di fauna selvatica rappresentano un moltiplicatore del pericolo di nuove epidemie.
Però, qui c’è anche parte della soluzione del problema: basterebbe infatti ridurre l’intensità e il livello di quelle attività distruttive per gli ecosistemi per ridurre, di conseguenza, i rischi di pandemie e, anzi, irrobustire le nostre difese Mario Tozzi
Il WWF il 21 marzo pubblica un nuovo report sulla correlazione tra distruzione degli ecosistemi - e in particolare delle foreste - e zoonosi, quindi malattie che si trasmettono dall’animale all’uomo. La sintesi è nello slogan scelto: “Le foreste sono il nostro antivirus naturale”. Queste sono in equilibrio: se noi sconvolgiamo questa situazione ci esponiamo più facilmente ai patogeni. Secondo il WWF le foreste sono il nostro antivirus naturale “Tra tutte le malattie emergenti - scrive il WWF - le zoonosi di origine selvatica potrebbero rappresentare in futuro la più consistente minaccia per la salute della popolazione mondiale. Il 75% delle malattie umane fino ad oggi conosciute derivano da animali e il 60% delle malattie emergenti sono state trasmesse da animali selvatici. Le zoonosi causano ogni anno circa un miliardo di casi di malattia e milioni di morti”. I Coronavirus sono diventati ultimamente l’espressione più macroscopica di questa correlazione.
L'inquinamento atmosferico
Questo però è solo uno degli aspetti che legano epidemie e ambiente. Sta emergendo infatti un legame più specifico tra inquinamento atmosferico, cambiamento climatico e coronavisur. Nei giorni scorsi, un gruppo di ricercatori della Società Italiana Medicina Ambientale, dell'Università degli Studi di Bari "Aldo Moro" e dell'Università di Bologna, ha ipotizzato in un position paper la relazione tra particolato atmosferico e aumento dei contagi da COVID-19.
Inquinamento da polveri sottiliLe alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura Padana avrebbero infatti prodotto un boost, un’accelerazione alla diffusione. Il motivo è nella natura stessa del particolato che, secondo molti studi, è un pericoloso carrier ovvero un vettore di trasporto di contaminanti e virus. Pur essendo studi ancora ridotti e i dati disponibili frammentari, l’ipotesi diventa comunque interessante.
Il Climate Change
A scrivere l’ultimo capitolo sul tema il New York Times che il 18 marzo ospita un intervento di John Schwartz che intervista la scienziata Katharine Hayhoe sulla possibilità del Climate change di essere un vero e proprio moltiplicatore di minacce.
Pur nell’incertezza di numeri e dati frammentari, spiega la proferessa, si devono considerare alcuni fattori: non è detto che un clima più caldo aiuti a combattere i virus, anzi è più facile che smorzi la risposta immunitaria, rendendoci inoltre - dato l’inganno delle alte temperature fuori stagione - meno inclini a vaccinarci.
L’inquinamento atmosferico, poi, rende più sensibili alle malattie respiratorie. Come ha già dimostrato la SARS, chi proveniva da aree più inquinate aveva il doppio di possibilità di ammalarsi. Quindi, anche se tutte le possibili implicazioni del rapporto tra cambiamenti climatici e clima sono ancora da indagare, una cosa è certa: il climate change e una più in generale debole coscienza ecologica creano un invito per ospiti inattesi e per nulla benvoluti, come i virus.
La buona notizia, però, c'è ed è insita nel significato stesso di crisi come scelta, giudizio. Il periodo che stiamo attraversando, sottolinea anche la professoressa Katharine Hayhoe, ci ha aiutato a osservare cosa conta davvero cioè "la salute e la sicurezza dei nostri amici, della nostra famiglia, dei nostri cari, delle nostre comunità, delle nostre città e del nostro Paese" e la minaccia proviene in egual modo dalla pandemia e dal climate change. Cambiando i nostri stili di vita, anche attraverso comportamenti più consapevoli e scelte individuali orientate alla sostenibilità e al rispetto dell'ambiente, possiamo contrastarli entrambi. Il capitolo post Coronavirus è ancora tutto da scrivere. E possiamo farlo insieme, come una comunità che mette in campo tutta la sua energia.